Eventi, Restauro
Il Laboratorio Persano & Radelet è una realtà giovane, ma si sta affermando come una delle più interessanti nel panorama del restauro d’arte in Piemonte. Fondata 4 anni fa da Galileo Pellion di Persano e Thierry Radelet, è strutturata per coprire il restauro di ogni supporto e materia. Con la Consulta ha collaborato su diversi progetti: dal Faro della Vittoria al Colle della Maddalena alla Palazzina di Stupinigi, con interventi sul Salone centrale e nell’Appartamento della Regina, (quest’ultimo in corso d’opera: la conclusione è prevista in primavera). Galileo Persano è il restauratore che ha seguito da vicino il lavoro sull’Ercole di Venaria.
Persano, qual è stato il vostro approccio?
Per il restauro dell’Ercole sono stati eseguiti due tipi di operazioni: una estetica e l’altra conservativa-strutturale. La prima riguardava la pulitura e non ha dato difficoltà, c’era solo un accumulo di sporco superficiale, rimosso con tradizionali impacchi di sale. La parte conservativa -strutturale è stata invece più complessa: l’Ercole presentava una grossa frattura al di sotto delle ginocchia, che anticamente lo aveva diviso in due. Le parti probabilmente erano state riunite negli anni ’50 del Novecento, con vecchi perni di ferro che abbiamo dovuto sostituire.
Quali erano le problematiche strutturali?
I calcoli strutturali e statici della statua sono stati eseguiti dallo studio dell’ingegner Marco Tobaldini, che ha valutato opportuna la sostituzione dei perni. Innanzitutto perché non era possibile conoscerne la lunghezza e poi perché si notava che la malta cementizia che li fissava non era più stabile. La soluzione è stata di inserirne di nuovi e più lunghi, allungando i fori. Altro aspetto strutturale importante è stato il rinforzo del basamento, che evidenziava delle crepe. L’ingegnere ha suggerito delle “cuciture”, fatte con 5 barre filettate che attraversano tutto il basamento.
Era un tipo lavoro che avevate già affrontato?
Si è trattato di un lavoro canonico per questo genere di restauro: le operazioni di incollaggio, sostituzione perni e riassemblaggio avvengono normalmente. La parte difficile è stata però la movimentazione vera e propria, poiché avevamo di fronte un blocco di marmo del peso complessivo di 3 tonnellate: due il corpo e una le gambe. Una volta inseriti i nuovi perni e messa la resina, il problema è stato riallineare in modo perfetto le gambe con il busto.
La crepa non era una guida sufficiente?
Le due parti non combaciavano perfettamente, erano staccate da tanti anni e il marmo era ormai consumato. Abbiamo valutato che le operazioni sarebbero state più semplici se eseguite in orizzontale. Così, dopo aver tagliato la pedana su cui era appoggiato il Colosso, abbiamo alzato la parte inferiore con un transpallet, fino ad allineare perfettamente le gambe con il corpo.
Il momento più emozionante?
Senza dubbio quando è stato rimesso in piedi, e per due motivi. Intanto perché l’Ercole non si vedeva così da più di 40 anni. Da quando cioè si trovava in un magazzino di Palazzo Madama, sempre sdraiato. Nessuno degli addetti ai lavori lo aveva mai visto in piedi, se non in fotografia. E poi perché è stato anche il momento più delicato: in quella posizione la statua faceva forza sui perni; è stata la “prova del nove” della tenuta del lavoro.
E il più difficile?
Direi lo stesso, perché c’è voluta una mezza giornata di lavoro da parte di una ditta specializzata, la Crown Fine Art, che ha seguito tutta la movimentazione qui in laboratorio, sospendendo prima la statua in orizzontale e poi, senza mai farla appoggiare, l’ha messa in verticale e posata a terra. C’era un po’ di timore che potessero crearsi delle crepe nella fessura sotto le ginocchia, e invece no: segno che i perni hanno tenuto perfettamente e non c’è stato alcun movimento.
Un particolare curioso emerso durante il restauro?
Forse il fatto più curioso era l’aspetto “butterato” della statua, che è un po’ il suo mistero da risolvere. La punzonatura diffusa su tutta la superficie è stata oggetto di diverse teorie: alla fine l’ipotesi più plausibile è che l’Ercole sia stato preso di mira da soldati o cacciatori quando era ancora a Venaria, verso la fine del Settecento. La picchiettatura è rimasta: era impossibile da risolvere e fa ormai parte della storia della scultura.
Quanti hanno lavorato sull’Ercole insieme a lei?
Due ingegneri strutturalisti per le analisi preliminari; 4 addetti della ditta Crown, che ha effettuato le movimentazioni; un operaio della ditta Catella Marmi, che ha eseguito i carotaggi per i fori; e poi 3 restauratori del nostro studio. In tutto una decina di persone, che si sono avvicendate tra il 18 settembre e il 24 novembre.